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dell'impero romano cap. li. 287

degli Arabi le sue conquiste verso il nort, e assoggettò i distretti che di poi hanno costituito i regni di Castiglia e di Leone. Ma vano sarebbe annoverare ad una ad una le città che si arresero quando loro si avvicinò, o descrivere di nuovo quella tavola di smeraldo1 che portarono i Romani dall’oriente in Italia, e che fra le spoglie di Roma passò nelle mani dei Goti, e fu da Tarik spedita al piè del trono di Damasco. La città marittima di Gijon fu, al di là dei monti delle Asturie, il termine delle imprese del luogotenente di Musa2, il quale con la celerità di un viaggiatore avea corso le settecento miglia che separano la roccia di Gibilterra dalla baia di Biscaglia. La barriera dell’oceano l’obbligò a ritornarsene addietro, e ben presto fu richiamato a Toledo per giustificarsi della presunzione che egli aveva avuta di soggiogare un regno, mentre il suo generale era

  1. Rodrigo di Toledo (Hist. Arab., c. 9, p. 17, ad calcem Elmacin) descrive questa tavola di smeraldo, e si fonda sull’autorità di Medinat-Almeyda, del quale ci dà il nome in lettere arabiche. Par che conosca gli autori Musulmani; ma non posso convenire col sig. di Guignes (Hist. des Huns, t. I, p. 350) che abbia letto e copiato Novairi, perchè morì un secolo prima che Novairi componesse la sua storia. Questo sbaglio nasce da un errore anche più goffo: il sig. di Guignes confonde lo storico Rodrigo Ximenes, arcivescovo di Toledo nel secolo tredicesimo, col cardinale Ximenes che governò la Spagna nel principio del secolo sedicesimo, e che ha esercitato i pennelli della storia, ma non li ha maneggiati giammai.
  2. Avrebbe potuto Tarik incidere su l’ultima rocca quel verso vanaglorioso di Regnard e dei suoi compagni nell’estremità della Lapponia: Hic tandem stetimus, nobis ubi defuit orbis.