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dell'impero romano cap. l 23

nea unione di più tribù risulta un esercito: quando è durevole, una nazione; e il Capo supremo, l’Emir degli Emiri, che inalbera davanti a loro la sua bandiera, può dagli stranieri considerarsi per un re. Se i principi Arabi abusano d’autorità, ne sono presto puniti dalla diserzione de’ sudditi, accostumati ad un reggimento dolce e paterno. Non è frenato da verun vincolo il lor coraggio; liberi ne sono i passi; il deserto è per tutti: non sono congiunte le famiglie fra loro che per un contratto naturale e volontario. La popolazione dell’Yemen, più docile, ha tollerato la pompa e la maestà d’un monarca, ma se, come fu detto, non poteva il re uscire del palazzo senza porre a repentaglio la vita1, dovea la forza del suo governo essere in mano de’ Nobili e de’ magistrati. Nelle città della Mecca e di Medina si vede, in mezzo dell’Asia, la forma o piuttosto la realtà d’una repubblica. L’avolo di Maometto e i suoi antenati in linea retta compariscono nelle operazioni al di fuori, e nell’amministrazione interna come principi del loro paese: pure l’impero loro, come quello di Pericle in Atene, e de’ Medici in Firenze, era appoggiato all’opinione che avevasi della

    sitio totius Mundi, p. 3, in Hudson, t. III). Il regno di Mavia è famoso nella Storia ecclesiastica (Pocock, Specim., p. 69-83).

  1. Μη εξειναι εκ των Βασιλειων, non uscire della reggia, dicono Agatarcide (De mari Rubro, p. 63, 64, in Hudson, t. I), Diodoro di Sicilia (t. I, l. III, c. 47, p. 215), e Strabone (l. XVI, p. 1124); ma sono tentato a credere che sia una di quelle fole popolari, o di quegli strani accidenti che dalla credulità degli scrittori si spacciano sovente per un atto costante, per un costume, o per una legge.