|
dell'impero romano cap. li. |
275 |
Corano alla cieca e goffa idolatria dei Mori. Fu adunque il general dei Saracini per la seconda volta accolto come il salvator della provincia: gli amici del viver civile cospirarono contro i Selvaggi di quella parte di Mondo; Cahina fu uccisa nella prima battaglia, e cadde con lei il mal fermo edificio del suo impero e della superstizione che lo fiancheggiava. Lo stesso spirito di sedizione si riaccese sotto il successore di Hassan: ma infine fu soffocato dall’attività di Musa e de’ suoi due figli; e si può giudicare qual fosse il numero dei ribelli da quello di trecentomila di loro che furono ridotti a cattività. Sessantamila di quelli schiavi, assegnati pel quinto dovuto al Califfo, furono venduti a pro dell’erario: trentamila giovani furono arrolati nelle milizie, e per le pie sollecitudini di Musa, che non cessò di porre ogni opera ad inculcare ai vinti le dottrine e le pratiche del Corano, s’abituarono gli Affricani ad obbedire l’appostolo di Dio e il comandante dei fedeli. Pel clima che abitavano e pel loro governo, non che pel modo di vivere e per le qualità delle abitazioni, i Mori vagabondi rassomigliavano ai Bedoini del deserto, che abbracciando la religione di Maometto ebbero l’orgoglio di appropiarsi la lingua, il nome e l’origine degli Arabi. Così a poco a poco si mischiò il sangue degli stranieri con quello dei nativi del paese, e parve allora che la medesima nazione si fosse diffusa dall’Eufrate all’Atlantico, sulle arenose pianure dell’Asia e dell’Affrica. Concedo per altro che cinquantamila tende di Arabi puri abbian potuto passare il Nilo, e disperdersi nel deserto della Libia, e so che cinque tribù di Mori conservan tuttavia il