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dell'impero romano cap. li. |
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soldati della Sicilia, e ottenne dalla paura e dalla religione del monarca Spagnuolo una numerosa schiera di Goti1. I suoi navigli fransero la catena che chiudeva l’ingresso del porto, e gli Arabi si ritrassero a Cairoan o a Tripoli. Sbarcarono i Cristiani: i cittadini salutarono il vessillo della Croce, e fu speso inutilmente il verno a pascersi di vane chimere di trionfo o di liberazione; ma l’Affrica era perduta per sempre. Animato dallo zelo e dal risentimento, il Commendatore dei fedeli2 mise in punto tanto in mare che in terra, per la campagna seguente, un armamento più grosso del primo, e fu costretto Giovanni ad abbandonare il posto e le fortificazioni di Cartagine. Vi fu una seconda battaglia nei contorni di Utica, ove Greci e Goti furon di bel nuovo sconfitti, ed altro scampo non ebbero che un pronto imbarco per sottrarsi alla spada di Hassan, che aveva investito la debole palizzata del campo loro. Quanto rimaneva di Cartagine fu dato alle fiamme, e la colonia di Di-
- ↑ „Dove s’erano ridotti i nobili Romani e i Goti: e di poi, i Romani fuggirono e i Goti lasciarono Cartagine„ (Leone l’Affricano, fol. 72). Non so da quale scrittore Arabo abbia tolto questo fatto relativo ai Goti: ma questo nuovo ragguaglio è tanto importante e verosimile che mi basta la più piccola autorità per ammetterlo.
- ↑ Questo Commendatore è chiamato da Niceforo βασιλεως Σαρακηνων re dei Saraceni definizione un po’ vaga, ma esatta abbastanza, delle incombenze del Califfo. Teofane usa la strana denominazione di Προτοσυμβολος Protosimbolo, che Goar, suo interprete, applica al Vizir Azem. Forse attribuivano giustamente al ministro piuttosto che al principe l’uficio attivo; ma dimenticarono che i califfi Ommiadi non aveano che un Cateb, o segretario; e che non fu rimessa o istituita la dignità di Visir, se non che l’anno 132 dell’Egira (d’Herbelot p. 912).