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dell'impero romano cap. li. 251

toria. Quanto alla maniera con cui regolò le rendite del paese; si scorge che disapprovò il testatico, imposizione semplicissima, ma sommamente oppressiva, e che preferì giustamente altri tributi calcolati sulla rendita netta dei vari rami dell’agricoltura e del commercio. Fu assegnato il terzo della contribuzione a mantenere gli argini e i canali cotanto alla pubblica prosperità necessari. Sotto il suo governo supplì la fertilità dell’Egitto alle carestie dell’Arabia, e una schiera di cammelli, carichi di biada ed altre derrate, copriva quasi senza lasciar intervallo la lunga strada da Menfi a Medina1. Il senno d’Amrou rinnovò ben tosto la comunicazion col mare, già intrapresa o eseguita dai Faraoni, dai Tolomei, e dai Cesari, e fu aperto dal Nilo al mar Rosso un canale lungo per lo meno ottanta miglia. Questa navigazione interna, che avrebbe congiunto il Mediterranneo coll’oceano dell’Indie, fu ben presto abbandonata come inutile e pericolosa; la sede del governo era passata da Medina a Damasco, e s’ebbe timore non i navili Greci penetrassero per avventura fino alle sante città dell’Arabia2.

Solo per la fama e per le leggende del Corano,

  1. Eutichio, Annal. tom. II, p. 320; Elmacin, Hist. Saracen., p. 35.
  2. È molto oscuro ciò che si riferisce a quei canali. Tocca al lettore di fissar la sua opinione colla lettura di d’Anville (Mém. sur L’Egypte, p. 108-110-124, 132), e di una dotta tesi sostenuta e stampata a Strasburgo nel 1770 (Jungendorum marium fluviorumque molimina, pag. 39-47, 68-70). I Turchi stessi, comecchè negligentissimi, hanno discusso l’antico disegno di congiungere i due mari (Mémoires du baron de Tott, t. IV).