|
dell'impero romano cap. li. |
243 |
tomba nella chiesa di S. Giovanni d’Alessandria. Osserva il patriarca Eutichio che i Saraceni combatterono con un coraggio da leone; ributtarono le frequenti e quasi giornaliere sortite degli assediati, e non tardarono ad attaccare le mura e le torri della città. In ogni assalto la spada e il vessillo di Amrou splendevano eminenti nella vanguardia. Un giorno fu trasportato dal suo valor temerario: i guerrieri del suo seguito, dopo aver penetrato nella cittadella n’erano stati scacciati, e il generale rimase in balìa de’ Cristiani con un amico e uno schiavo. Condotto davanti al Prefetto Amrou si ricordò del suo grado, e non pensò al suo stato presente. Un contegno fastoso, e un linguaggio altero già svelavano il Luogo-tenente del Califfo, e la scure d’un soldato era alzata sul suo capo pronta a punire l’insolente cattivo. Ebbe salva la vita mercè della prontezza ingegnosa del suo schiavo, il quale, battendo il viso del suo padrone, gli comandò in aria fiera di starsene zitto davanti ai superiori. Il credulo Greco fu ingannato, prestò l’orecchia alla proposta d’una negoziazione, e rimandò i prigionieri sperando che giugnerebbe in loro vece una deputazione più ragguardevole; ma ben presto le acclamazioni del campo annunciarono il ritorno del generale, e beffarono la semplicità degli infedeli. Finalmente, dopo un assedio di quattordici mesi1 e la perdita di ventitremila uomini, i Sa-
- ↑ Eutichio
(Annal. t. II, p. 319), ed Elmacin (Hist. Saracen., p. 28) son d’accordo nel fissar la presa d’Alessandria nel venerdì della nuova luna di Moharram, nel ventesimo anno dell’Egira (22 dicembre A. D. 640). Contando i quattordici mesi passati davanti ad Alessandria, i sette mesi davanti Babilonia ec., parrebbe che Amrou cominciasse l’inva-