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emporio del traffico dell’intero Mondo, era abbondevolmente ricca d’ogni sorta di munizioni, e di presidii per la difesa. I suoi numerosi abitanti combattevano pei dritti che sono i più cari al cuor dell’uomo, religione e proprietà; e pareva che dall’odio dei nativi del paese non potessero sperare giammai nè pace, nè tolleranza. Era sempre libero il mare, e se l’angustia in cui era l’Egitto fosse stata bastante a scuotere l’indolente Eraclio, avrebbe costui agevolmente potuto versare nella seconda capital dell’impero nuovi eserciti di Romani e di Barbari. Aveva Alessandria dieci miglia di circuito, e tanta estensione avrebbe di leggieri portato l’inconveniente di dividere le forze dei Greci, e di favorire gli stratagemmi di un vigilante nemico: ma edificata in un rettangolo assai lungo, coperto ai due lati dal mare e dal lago Mareotide, presentava ad ogni estremità una fronte non maggiore di dieci stadi. Adeguavano gli Arabi le loro forze alla difficoltà dell’assedio, e alla fortezza della Piazza. Dall’alto del suo trono in Medina, teneva Omar gli occhi fissi sul campo e sulla città: la sua voce suscitava a combattere e le tribù Arabe, e i veterani della Sorìa, e dalla fama e fertilità dell’Egitto era possentemente avvivato e sostenuto lo zelo di questa santa guerra. Agitati gli Egiziani dalla brama di distruggere, o di cacciare i lor tiranni, secondavano colle loro braccia gli sforzi di Amrou; e forse l’esempio dei loro alleati valse a riaccendere loro in petto qualche scintilla di fuoco marziale, mentre Mokawkas nudriva l’ambiziosa speranza d’avere la

    più recenti ed emuli, quelli del Savary e del Volney, potranno il primo dilettare, l’altro istruire.