Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
dell'impero romano cap. li. | 211 |
dava i Romani fu ucciso a Damasco, dove si ricoverò nel monastero del monte Sinai. Jabalah, esigliato dalla Corte di Bisanzio, pianse colà i costumi dell’Arabia da lui abbandonati, e la sciagura d’aver preferito la causa de’ Cristiani1. Altra volta era stato propenso all’Islamismo; ma in un pellegrinaggio alla Mecca, essendosi trasportato a percuotere un suo concittadino, avea presa la fuga per salvarsi dall’imparziale e severa giustizia del Califfo. I Saraceni vittoriosi passarono un mese a Damasco nella quiete e nei sollazzi: la division del bottino fu rimessa alla prudenza di Abu-Obeidah. Ogni soldato ebbe una parte per sè, ed una pel suo cavallo, ed ai nobili corsieri di razza araba fu riservata doppia porzione.
[A. D. 637] Dopo la battaglia di Yermuk non si vide più comparire l’esercito romano, e furono arbitri i Saraceni di scegliere quella delle città munite della Sorìa volessero prima attaccare. Chiesero al Califfo se marciar dovessero verso Cesarea o Gerusalemme, ed a seconda della risposta di Alì fu messo subitamente l’assedio a quest’ultima città. Agli occhi di un profano era Gerusalemme la prima o la seconda capitale della
- ↑ V. Abulfeda (Annal. Moslem., p. 70, 71) il quale riferisce le lamentazioni poetiche di Jabalah medesimo, e gli elogi d’un poeta Arabo, a cui, per mezzo d’un ambasciatore d’Omar, furon mandate dal Capo della tribù di Gassan cinquecento pezze d’oro.
vere: μη δυνηθεντς αντηπροσωπησαι εχθροις δια τον κονιορτον ηττωνται και εαυτους βαλλοντες εις τας στενοδους Ιερμσχθου ποταμου εκει απωλοντο αρδην, e non potendo (i Romani) star a fronte de’ nemici a cagion della polvere, erano debellati, e cacciando sè stessi nei guadi angusti del fiume dell’Yermuk, quivi annegati perivano.