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dell'impero romano cap. li. 209

furono allora illustrate da lunga e sanguinosa battaglia. In quella gran circostanza dalla voce pubblica, e dalla modestia di Abu-Obeidah fu renduto il comando al Musulmano più degno. Caled si collocò sulla fronte dell’esercito; alle spalle pose il suo collega, acciocchè i Musulmani, se mai fossero tentati a fuggire, fossero arrestati dal suo aspetto venerando e dalla vista della bandiera gialla, che Maometto avea spiegata avanti le mura di Chaibar. Stava nell’ultima linea la sorella di Derar e le donne arabe che s’erano coscritte per quella santa guerra, che sapeano trattare l’arco e la lancia, e che in un momento di cattività aveano difesa contro gli incirconcisi la verecondia loro e la religione1. L’arringa dei generali fu breve, ma energica. „Avete in faccia il paradiso, alle spalle il diavolo e il fuoco dell’inferno„. Nondimeno fu tanto impetuosa la carica della cavalleria romana che ne fu rotta l’ala destra degli Arabi, e separata dal centro. La quale per tre volte s’indietreggiò alla rinfusa, e tre volte fu riordinata dai rimproveri e dai colpi delle donne. Negli intervalli dell’azione, Abu-Obeidah visitava le tende dei confratelli, ne prolungava il riposo recitando in una volta due delle cinque orazioni quotidiane, ne curava le ferite di propria mano, e li confortava colla rifles-

    Geogr. antiq., t. II, p. 392) e il d'Anville (Geogr. anc. t. II, p. 185) parlano dell' Yermuk o del Hieromax. Pare che gli Arabi, e Abulfeda stesso non ravvisino il teatro della loro vittoria.

  1. Queste donne erano della tribù degli Hamyariti, discendenti degli Amalaciti antichi. Le loro spose erano abituate a cavalcare e a combattere come le Amazzoni dell’antichità (Ockley, vol. I, p. 67).