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dell'impero romano cap. li. | 207 |
alle battaglie del Signore. In un fatto accaduto poco tempo prima sotto le mura di Emesa, s’udì esclamare un giovane Arabo, cugino di Caled: „Credo vedere le houris dagli occhi neri che mi guardano; se una sola comparisce sulla terra tutti gli uomini morirebbero d’amore. Ne scorgo una che ha un fazzoletto di seta verde, e un cappello di pietre preziose; mi fa segno e mi chiama: vieni subito mi dice, perchè sono innamorata di te„. Così dicendo, si scagliò furiosamente sui Cristiani, e spargeva per ogni parte la strage, quando il governatore di Hems, che l’osservò, lo trafisse con una chiaverina.
[A. D. 636] Era d’uopo ai Saraceni di tutto il valore ed entusiasmo loro per far fronte alle forze dell’imperatore, il quale dalle tante perdite sofferte aveva argomentato abbastanza che voleano i pirati del deserto conquistare regolarmente, e conservare a sè la Sorìa, e che in poco tempo verrebbero a capo del lor disegno. Ottantamila soldati delle province europee ed asiatiche furono mandati per mare e per terra ad Antiochia e a Cesarea: sessantamila Arabi cristiani, della tribù di Gassan, erano le soldatesche leggiere di quell’esercito, e lo precedevano sotto la bandiera di Iabalah, l’ultimo de’ loro principi: avevano i Greci per massima: che col diamante si tagliava meglio che in altra guisa il diamante. Non si espose Eraclio in persona ai rischi di quella guerra: ma presuntuoso siccome egli era, o forse per mancanza di coraggio, diede comando espresso di decidere in una sola giornata il destino della provincia e di quella guerra. Gli abitanti della Sorìa difendeano la causa di Roma e di Cristo; Nobili, cittadini, paesani furono del pari irritati dalla ingiustizia, e dalla barbarie di