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dell'impero romano cap. l |
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loro semplicissima e immutabile profession di fede. Non mai degradarono1 con alcun simulacro l’immagine intellettiva della Divinità; non mai gli onori tributati al Profeta eccedettero quelli meritati dalle umane virtù; e i precetti sempre vivi nel cuore dei suoi discepoli, hanno tenuta la gratitudine fra i confini della ragione e della religione. È bensì vero, che i Settari d’Alì hanno consacrata la memoria del loro campione, di sua moglie e de’ figli: e pretendono taluni de’ dottori persiani che l’Essenza divina siasi incarnata nella persona degl’Imani: ma da tutti i Sonniti si condanna come empietà questa superstizione, che finì di premunire il popolo dal culto de’ Santi e de’ Martiri. Le quistioni metafisiche su gli attributi di Dio, e su la libertà dell’uomo, furono dibattute nelle scuole de’ Musulmani come in quelle de’ Cristiani; ma presso i primi non accesero giammai le passioni della moltitudine, nè mai turbarono la quiete dello Stato. Forse nella separazione, o nell’unione, degli uffici sacerdotali e de’ regii conviene cercare la cagione di questa notabile differenza. Era interesse de’ Califfi, successori del Profeta e comandanti de’ fedeli, reprimere e disanimare ogni novità religiosa: l’Ordine del clero, e la sua ambizione temporale o spirituale, son cose affatto sconosciute pe’ Musulmani, e i sapienti della legge sono le guide della lor coscienza e gli oracoli della fede. Dal mare Atlantico al Gange, il Corano è tenuto pel codice fondamentale, non solo di teologia, ma di giurisprudenza civile e criminale, e l’infallibile ed
- ↑ Non hanno forse anche i Cristiani nel loro intelletto l’immagine pura della Divinità? (Nota di N. N.)