Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/148

142 storia della decadenza

piena di fascine accese all’usanza degli Arabi. Si avanzarono mal volentieri i nemici, e un de’ loro Capi, che disertò con trenta soldati, venne a dividere con Hosein le angosce d’una morte inevitabile. Nelle mischie corpo a corpo, o ne’ singolari conflitti, la disperazione rendette invincibili i Fatimiti; ma la moltitudine che gli accerchiava li coperse d’un nembo di dardi: cavalli ed uomini caddero successivamente uccisi: le due parti assentirono una tregua d’un istante per l’ora della preghiera, e in fine terminò la battaglia colla morte dell’ultimo compagno di Hosein. Solo egli allora, rifinito dalla fatica, e piagato, si assise all’ingresso della sua tenda. Mentre stava bevendo poche stille d’acqua per rinfrescarsi, fu colto da un dardo in bocca: e rimasero uccisi fra le sue braccia il figlio e il nipote, giovanetti di rara avvenenza. Sollevò al cielo le mani coperte di sangue, e orò pe’ viventi e pe’ morti. Escì sua sorella della tenda in un accesso di disperazione, scongiurando il generale de’ Cufiani perchè non lasciasse svenare Hosein in sua presenza: e i più arditi fra i suoi guerrieri retrocessero da ogni lato all’arrivo dell’eroe moribondo, che offriva il collo al lor ferro. Lo spietato Shamer, nome abbominato da’ fedeli, li rimbrottò di viltà, e il nepote di Maometto cadde trafitto da trentatre colpi di lancia e di sciabola. Ne calpestarono i Barbari il corpo, e portarono la testa al castello di Cufa, ove l’inumano Obeidollah gli percosse colla canna la bocca. „Ahi! esclamò un vecchio Musulmano, su quelle labbra ho veduto le labbra dell’appostolo di Dio„. Dopo tanti secoli, e in un clima sì diverso, una scena sì tragica dee movere a pietà