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della casa d’Ommiyah. Dopo il passaggio del Thapsaco, la pianura di Siffin1 s’allunga su la riva occidentale dell’Eufrate. In questo terreno vasto e piano fecero i due competitori per centodieci giorni una guerra d’avvisaglie. La perdita d’Alì in novanta scaramucce, succedute in que’ giorni, fu valutata di venticinquemila uomini, e quella di Moawiyah di quarantacinquemila; si trovarono fra i morti venticinque veterani di quelli che aveano combattuto a Beder, sotto lo stendardo di Maometto. In sì sanguinosa tenzone, il Califfo legittimo si dimostrò superiore al rivale per valore e per umanità. Ordinò alle sue milizie, sotto pene severe, d’aspettare il primo assalto del nemico, di perdonare a’ fuggiaschi, di rispettare i cadaveri degli uccisi, e l’onore delle prigioniere. Propose da generoso di risparmiare il sangue de’ Musulmani con un duello; ma intimorito il rivale, ricusò una disfida che gli pareva una sentenza di morte. Montato Alì sopra un cavallo baio investì, precedendo i suoi soldati, e ruppe le file dei Siri, sbigottiti dalla forza invincibile della sua grave spada a due tagli. Ogni volta che atterrava un ribelle, gridava, Allah Acbar; „Dio è vincitore„; e nel forte d’una battaglia notturna, s’intese quattrocento volte ripetere questa terribile esclamazione. Già il principe di Damasco meditava la fuga; ma per l’inobbedienza e il fanatismo delle sue soldatesche perdette Alì la vittoria che sembrava per lui sicura. Moawiyah ne agitò la coscienza col dichiarare solennemente, che si appellava al Corano cui mostrava espo-

  1. D’Anville (l’Euphrate et le Tigre, p. 29) dimostra che il piano di Siffin è il campus barbaricus di Procopio.