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dell'impero romano cap. l 127


La nascita d’Alì, il suo matrimonio e la sua riputazione, che lo innalzarono sopra tutti i suoi concittadini, poteano giustificarne le pretensioni al trono dell’Arabia. Figlio d’Abu-Taleb, era già per questo solo titolo il Capo della famiglia di Hashem, e principe ereditario, o custode della città e del tempio della Mecca. S’era dileguata la luce profetica, ma il marito di Fatima potea sperare l’eredità e la benedizione del padre della moglie; alcune volte avevano gli Arabi obbedito ad una donna, e il Profeta strignendo teneramente fra le braccia i suoi due nipoti, li avea dalla sua cattedra qualche volta mostrati al popolo come l’unica speranza della sua vecchiaia, e come Capi della gioventù del paradiso. Poteva il primario de’ veri credenti aver fiducia di camminare davanti a loro in questo e nell’altro Mondo, e se taluni pur comparivano più gravi ed austeri, almeno tra i nuovi convertiti, non potea veruno vincere Alì nello zelo e nella virtù. Accoppiava in sè i pregi di poeta, di soldato e di santo: vive ancora la sua sapienza in una Raccolta di sentenze morali e religiose1, e quando era tempo di disputare o di combattere, dalla sua eloquenza o dal suo valore erano soggiogati gli avversari. Dal primo giorno della sua missione sino all’estrema cerimonia de’ suoi funerali, non fu mai abbandonato l’appostolo da quell’amico generoso, ch’egli amava denominare suo fratello, suo vicegerente, e il fido Aronne d’un altro

  1. Ockley, sul finire del suo volume secondo, ci ha data una versione inglese di censessantanove massime ch’egli dubbiosamente attribuisce ad Alì, figlio di Abu-Taleb. Spira nella sua traduzione l’entusiasmo d’un traduttore. Quelle massime però dipingono al naturale, ma con tinte assai tetre, la vita umana.