Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/125


dell'impero romano cap. l 119

stra abbastanza sino a qual segno possa un saggio illudere sè medesimo, come illudere gli altri un uom virtuoso, in qual modo addormentarsi la coscienza fra l’illusion personale e la frode volontaria. La carità ci farebbe persuasi che dapprima fosse animato Maometto da’ motivi più puri d’una benevolenza naturale; ma l’appostolo che non è un Dio, è tale da non amare increduli ostinati nel ributtare le sue pretensioni, nel dispregiarne gli argomenti, nel perseguitare la sua vita. Se Maometto perdonò qualche volta a’ suoi avversari personali, credea senz’altro lecito a sè di detestare i nemici di Dio; allora passioni inflessibili d’orgoglio e di vendetta gli entrarono in cuore, e, simile al Profeta di Ninive1, fece voti per la distruzione de’ ribelli che avea condannati. Per l’ingiustizia usatagli dalla Mecca, e per l’elezione che fece Medina, il semplice cittadino fu trasformato in principe, e l’umile predicatore in generale d’esercito. Ma sacra era la sua spada per l’esempio de’ Santi, e quel Dio che punisce un Mondo peccatore colla peste e co’ tremuoti, poteva adoperare il valor de’ suoi servi per convertire e castigare alcuni uomini. Nell’esercitare il governo politico fu obbligato a mitigare l’inflessibile severità del fanatismo, a cedere in qualche parte a’ pregiudizi e alle passioni de’ Settari di quello, e di valersi degli stessi vizi del genere umano per la salute di es-

  1. Anche qui è indebito il paragone fra Maometto ed il Profeta di Ninive; noi dobbiamo credere, che questi fosse inspirato da Dio quando parlava; e sappiamo, che Maometto non fu che un fortunato ed abile fondatore della sua religione. (Nota di N. N.)