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dell'impero romano cap. l 115

gliene chiesta rispettosamente licenza. Conceduta che l’ebbe, cadde in agonia; la sua testa si posava sul petto di Ayesha, la prediletta delle sue mogli; svenne egli nell’angoscia, ma poi riavutosi alquanto, sollevò verso la soffitta un’occhiata ancora franca, sebbene già fosse languida la voce, e pronunciò queste parole interrotte: „O Dio!... perdona i miei peccati... sì... vado a rivedere i miei concittadini che sono nel cielo„. Poi sdraiato sur un tappeto disteso per terra esalò placidamente l’ultimo fiato. Questo tristo accidente impedì la straordinaria spedizione che dovea farsi per la conquista della Siria: l’esercito s’era fermato alle porte di Medina, e stavano i capitani raccolti attorno al loro padrone moribondo. Nella città, e specialmente poi in casa del Profeta, non s’udivano che grida di dolore quando cessava il silenzio della disperazione; dal solo fanatismo si ottenea qualche consolazione e speranza. „Il testimonio, l’intercessore, il mediator nostro presso Dio non può esser morto, gridavasi, ce ne appelliamo a Dio, non è morto: come Mosè e Gesù1, assorto in estasi, ben tosto ritornerà al suo fido popolo„. Non si volle stare alla testimonianza de’ sensi, e Omar, cavando la scimitarra dal fianco, minacciò di tagliare la testa di quell’infe-

  1. Non deve maravigliare, che nel caldo del fanatismo i discepoli di Maometto si sieno ingannati a grado di non crederlo morto, ed abbianlo paragonato a Mosè, ed a Gesù Cristo. Saggio e bello è poi il discorso di Abubeker, e conforme al puro Deismo, ed alla religione dello stesso Maometto, che non ha mai nè detto, nè preteso d’essere adorato, ma soltanto obbedito come un preteso inviato da Dio per manifestare la sua legge agli uomini. (Nota di N. N.)