|
dell'impero romano cap. xlii. |
51 |
vallo, a servire l’Imperatore nelle sue guerre d’Italia. Areta ed i suoi Arabi, spalleggiati da mille e dugento Romani, passarono, per suo comando, il Tigri onde portarsi a devastar le messi della Siria, fertile provincia che da lungo tempo non aveva sentito le calamità della guerra. Ma l’intrattabile indole di Areta sconcertò i divisamenti di Belisario, col non rieder più al campo, nè trasmettere alcun avviso de’ suoi movimenti. Il Generale romano, pieno di ansiosa aspettazione, non ardiva togliersi dal sito in cui era. Passò frattanto il tempo di agire; il cocente Sole della Mesopotamia accendeva le febbri nel sangue de’ soldati europei; e le truppe e gli ufficiali della Siria, trovandosi immobili in campo, affettavano di paventare per la salvezza delle loro città, che prive erano di difesa. Nulladimeno questa diversione aveva già ottenuto il buon esito di costringere Cosroe a tornarsene indietro con perdita e fretta; e se l’abilità di Belisario avesse avuto la disciplina ed il valore in soccorso, i suoi successi avrebber forse appagate le ardenti brame del comun della gente, che dalla sua mano chiedeva la conquista di Ctesifonte e la liberazione dei prigionieri di Antiochia. Sul finire della campagna, egli fu richiamato a Costantinopoli da una Corte ingrata, ma i pericoli della seguente pimavera gli fecero restituire la confidenza e il comando; e l’Eroe, quasi solo, fu spedito colla celerità dei cavalli di posta, a respingere l’invasione della Siria, mediante la forza del suo nome e della sua presenza. Egli trovò i Generali romani, tra i quali era un nipote di Giustiniano, imprigionati dai loro timori dentro le fortificazioni di Gerapoli. Ma in luogo di porgere ascolto ai timidi loro consigli, Belisario ordinò che lo seguissero all’Europo dove avea divisato