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storia della decadenza |
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dei Cristiani di Apamea. Non erano scorsi che quattordici anni dacchè un terremoto aveva tratto Antiochia in rovina. Ma la regina dell’Oriente, la nuova Teopoli si era rialzata da terra mediante la liberalità di Giustiniano; e la crescente grandezza de’ suoi edifizj e della sua popolazione già quasi avea cancellato la memoria di quel recente disastro. Da un lato la montagna, dall’altro il fiume Oronte difendevano Antiochia, ma la parte più accostevole era dominata da una superiore eminenza: si rigettarono gli opportuni provvedimenti di difesa pel dispregievol timore di scoprire la propria debolezza al nemico; e Germano, nipote dell’Imperatore, ricusò di porre a cimento la sua persona e la sua dignità dentro le mura di una città assediata. I cittadini di Antiochia avevano ereditato il vano e satirico genio de’ loro antenati: essi vennero in baldanza per l’improvviso rinforzo di seimila soldati: disdegnarono le offerte di una blanda capitolazione; e gl’immoderati loro schiamazzi insultavano dai bastioni la maestà del Gran Re. Animati dal suo sguardo a migliaja i Persiani salirono sulle scale all’assalto; i mercenarj fuggirono per la parte opposta di Dafne, e la generosa resistenza della gioventù di Antiochia non servì che a far più gravi le miserie della lor patria. Cosroe, nel discendere dalla montagna, circondato dagli ambasciatori di Giustiniano, affettò, con dolente voce, di deplorare l’ostinazione e la rovina di quel popolo sventurato; ma la strage frattanto infieriva con implacabile furia; e la città, per comando del Barbaro, fu data in preda alle fiamme. L’avarizia, non la pietà del conquistatore, salvò la cattedrale di Antiochia: una più onorevole immunità fu conceduta alla chiesa di S. Giuliano ed al quartiere ove