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ria del grande Eraclio. Ma il liberatore dell’Oriente era povero e debole. La più preziosa parte delle spoglie Persiane erasi spesa nella guerra, o distribuita ai soldati o sommersa, per una sciagurata tempesta, nei flutti dell’Eussino. Oppressa era la coscienza dell’Imperatore dall’obbligo di restituire le ricchezze del Clero, che tolto egli avea in prestito per difenderlo: si richiedeva un fondo perpetuo per soddisfare quegli inesorabili creditori; le province, già devastate dalle armi e dall’avarizia de’ Persiani, furono costrette a pagare per la seconda volta gli stessi tributi: ed il residuo debito di un semplice cittadino, il tesoriere di Damasco, fu commutato in una multa di centomila monete d’oro. La perdita di duecentomila soldati1 che la spada avea spenti, fu di meno importanza che il decadimento delle arti, dell’agricoltura e della popolazione, in questa guerra lunga e distruggitrice: e quantunque un vittorioso esercito si fosse formato sotto lo stendardo di Eraclio, pure sembra che lo sforzo non naturale esaurisse anzi che esercitasse le forze dell’Impero. Nel tempo che l’Imperatore trionfava in Costantinopoli od in Gerusalemme, un’oscura città sui confini della Siria veniva posta a sacco dai Saraceni; ed essi fecero a brani alcune truppe che mossero a soccorrerla, accidente ordinario e di nessun momento, se non fosse stato il preludio di una grandissima rivoluzione. Que’ predatori erano gli apostoli di

    furono, siccome era ben giusto, posti fra loro a paragone con Baldassare, con Faraone, col vecchio serpente ec.

  1. Questo è il numero che assegna Suidas (in Excerpt. Hist. byzant., p. 46). Ma è d’uopo invece delle parole la guerra d’Isauria, leggere la guerra di Persia; altrimenti questo passo in nessun modo concerne l’imperatore Eraclio.