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dell'impero romano cap. xlvi. |
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mere del loro sovrano o del nemico, e le donne del suo Serraglio rimasero stupefatte e dilettate all’aspetto di volti umani, sinchè il geloso marito di tremila mogli le confinò di bel nuovo in un più distante castello. Per suo comando, l’esercito di Dastagerda si ritirò in un nuovo campo: coperta n’era la fronte dall’Arba e da una linea di ducento elefanti; le truppe delle più distanti province successivamente arrivarono, e si arruolarono i più vili servi del Re e de’ Satrapi per l’estrema difesa del trono. Era tuttora in potere di Cosroe l’ottenere una ragionevol pace; ed iteratamente egli fu spinto dai messi di Eraclio a risparmiare il sangue de’ suoi sudditi, ed a sollevare un conquistatore umano dal penoso dovere di portare il ferro e il fuoco per le più belle contrade dell’Asia. Ma l’orgoglio del Re di Persia non s’era ancora abbassato al livello della sua fortuna. Egli attinse una momentanea fidanza dalla ritirata dell’Imperatore; pianse con impotente rabbia sopra la rovina de’ suoi palazzi Assiri, ed ebbe per troppo tempo in non cale il crescente mormorare della nazione, la quale lagnavasi che le vite e le sostanze di tutti venissero immolate all’ostinazione di un solo vecchiardo. Questo disavventurato vecchio era tormentato egli stesso dalle più pungenti pene della mente e del corpo; e, consapevole della sua prossima fine, deliberò di porre la tiara sul capo di Merdaza, il più diletto de’ suoi figliuoli. Ma il volere di Cosroe non era più ormai tenuto in rispetto; e Siroe che vantava il grado ed il merito della sua madre Sina, avea cospirato co’ malcontenti per sostenere ed anticipare i diritti della primogenitura1. Ventidue Satrapi, che
- ↑ Nella lettera d’Eraclio (Chronic., Paschal, p. 398),