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dell'impero romano cap. xlvi. | 419 |
tuttavia pare che le ricchezze restatevi eccedessero le speranze dell’esercito Romano, ed anche ne satollassero l’avarizia. Essi diedero alle fiamme tutto ciò che portar via non poteasi, a tal che Cosroe dovè sentire l’angoscia di quelle ferite, con cui sì spesso avea lacerato le province dell’Impero; e la giustizia avrebbe potuto porgere una scusa, se confinata si fosse la depredazione alle opere del lusso regale, e se l’odio nazionale, la militar licenza e lo zelo di religione non avessero con egual rabbia devastato le abitazioni ed i templi de’ sudditi innocenti. La ricuperazione di trecento stendardi Romani, e la liberazione de’ numerosi prigionieri di Edessa e di Alessandria, riflettono una gloria più pura sulle armi di Eraclio. Dal palazzo di Dastagerda egli continuò la sua marcia sino alla distanza di poche miglia da Modain o Ctesifonte, sinchè fu arrestato, sulle rive dell’Arba, dalla difficoltà del passaggio, dal rigore della stagione, e forse dalla celebrità di un’inespugnabile capitale. Il ritorno dell’Imperatore vien segnato dal nome moderno di Sherhzour; fortunatamente egli passò il monte Zara, prima della neve, che cadde per trentaquattro giorni continui; ed i cittadini di Gandzaca o Tauride, furono astretti a mantenere con ospitali accoglienze i soldati di Eraclio coi loro cavalli1.
[A. D. 627] Dappoi che l’ambizione di Cosroe fu ridotta a difendere l’ereditario suo regno, l’amor della gloria, anzi
- ↑ I fatti, i luoghi, e le date che Teofane (p. 265-271) indica nel racconto che fa di quest’ultima spedizione d’Eraclio sono talmente esatti e veri, che bisogna di necessità che abbia tenuto dietro alle lettere originali dell’Imperatore, di cui la Cronica di Paschal ci ha conservato un curioso squarcio, (p. 398-402).