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dell'impero romano cap. xlvi. 409

mai non s’era avvicinato alcun conquistatore Romano. Sbigottito sul pericolo del suo reame, Cosroe richiamò le sue forze dal Nilo e dal Bosforo, e tre formidabili armate circondarono, in terra lontana e nemica, il campo dell’Imperatore. Gli abitanti della Colchide, alleati di Eraclio si apprestavano ad abbandonare le sue insegne; ed i timori dei veterani più prodi si esprimevano, dal loro stesso sfiduciato silenzio. „Non vi sia di terrore„ sclamò l’intrepido Eraclio „la moltitudine de’ vostri nemici; coll’ajuto del Cielo, un Romano può trionfare di mille Barbari. Ma se noi consacriamo la vita per la salvezza de’ nostri fratelli, noi otterremo la corona del martirio, e l’immortal nostra ricompensa ci sarà largamente pagata da Iddio e dalla posterità„. Questi magnanimi sensi furono sostenuti dal vigor delle azioni. Egli ributtò il triplice attacco dei Persiani; approfittò delle scissure de’ lor Capi, e mediante una serie ben concertata di mosse, di ritirate e di azzuffamenti felici, pervenne a cacciarli dal campo ed a confinarli nelle città fortificate della Media e dell’Assiria. Nel fitto del verno, Sarabaza si reputava sicuro dentro le mura di Salban: egli vi fu sorpreso dall’instancabile Eraclio, il quale divise le sue truppe e fece una faticosa marcia nel silenzio notturno. I tetti piatti delle case furono con inutil valore difesi contro i dardi e le fiaccole de’ Romani: i Satrapi ed i Nobili della Persia, insieme con le mogli ed i figli loro ed il fiore della marzial loro gioventù, o caddero uccisi o rimasero prigionieri. Una precipitosa fuga salvò il Generale, ma l’aurea sua armatura fu preda del vincitore; ed i soldati di Eraclio gioirono l’opulenza ed il riposo che sì nobilmente s’erano meritati. Al tornare della primavera, l’Imperatore attraversò in