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ed incoerenti. Ne’ primi e negli ultimi anni di un lungo regno, l’Imperatore si mostra quale schiavo dell’ozio, del piacere e della superstizione, qual negligente ed impotente spettatore delle pubbliche calamità. Ma le languide nebbie del mattino e della sera, sono separate dal folgore del Sole al merigge. L’Arcadio della reggia, sorge il Cesare del campo, e l’onore di Roma e di Eraclio viene gloriosamente riparato dalle imprese e da trofei di sei campagne piene di baldanza e di rischio. Era dovere degli Storici Bizantini il rivelarci le cagioni del suo letargo e della sua vigilanza. Così distanti da que’ tempi, noi possiamo soltanto congetturare che dotato ei fosse più di personal coraggio che di politica risoluzione; che rattenuto fosse dai vezzi e forse dagli artifizi di sua nipote Martina, colla quale, dopo la morte di Eudossia, egli contrasse un incestuoso maritaggio1, e che cedesse ai codardi avvisi de’ consiglieri, i quali sostenevano qual legge fondamentale, che l’Imperatore non doveva mai cimentarsi nel campo2. Forse egli si ri-

  1. Niceforo che (p. 10, 11) coi nomi di αθεσμον, e di αθεμιτον, fa ogni sforzo por coprire d’ignominia questo matrimonio, si fa un vero piacere di narrare che i due figli sortiti da quell’incestuoso maritaggio portarono ambedue, per tutta la loro vita, l’impronto della collera divina, il primo nell’immobilità del collo, ed il secondo nella mancanza dell’udito.
  2. Giorgio di Pisidia (Acroas. 1, 112-125, p. 5) nell’esporre le opinioni, dice che i pusillanimi suoi consiglieri non avevano cattive intenzioni. Avrebb’egli dunque voluto scusare un sì disdegnoso ed altiero avvertimento di Crispo? Επιθωπταζων ουκ εξον βασλει εφασκε κτααλίμανειν βασιλεία, και τοις πορ̀ρ̀ω επιχωριαζειν δυναμεσιν.