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dell'impero romano cap. xlvi. 391

la schiavitù e l’abbiezione in cui giacciono, e di aggravare, con crudeli ed insolenti minacce, il rigore de’ loro comandi assoluti. Scandalezzati erano i Cristiani dell’Oriente dall’adorazione del fuoco, e dall’empia dottrina dei due Principi: nè i Magi erano meno intolleranti de’ Vescovi, ed il martirio di alcuni Persiani nativi, che abbandonata aveano la religione di Zoroastro1, apparve come il preludio di una fiera e generale persecuzione. Le leggi oppressive di Giustiniano aveano cangiato in nemici dello Stato gli avversari della Chiesa; la lega degli Ebrei, de’ Nestoriani e de’ Giacobiti, avea contribuito alle vittorie di Cosroe, ed il favore ch’egli parzialmente compartiva ai settari, suscitò l’odio ed i timori del clero cattolico. Consapevole di quell’odio e di questi timori, il conquistatore Persiano governò con uno scettro di ferro i nuovi suoi sudditi; e come se poco fidasse nella stabilità del suo dominio, egli dispogliò l’opulenza loro con gli smoderati tributi e la licenziosa rapina; denudò o demolì i templi dell’Oriente, e trasportò negli ereditari suoi regni l’oro e l’argento, i marmi preziosi, le arti e gli artefici delle città asiatiche. Nell’oscuro dipinto delle calamità dell’Impero2 non è

  1. Gli Atti originali di sant’Anastasio sono stati pubblicati frammisti a quelli del settimo Concilio generale, da cui e Baronio (Annal. eccles., A. D. 614, 426, 627) e Butlero (Lives of the Saints, vol. 1, p. 242-248) hanno cavato i loro racconti. Questo santo martire abbandonò le bandiere del Re di Persia, sotto cui serviva ed entrò nelle romane legioni; a Gerusalemme vestì l’abito di frate, e fece oltraggio al culto dei Magi allora vigente in Cesarea, città della Palestina.
  2. Abulfaragio, Dynast., p. 99; Elmacin, Hist. Sarac. p. 14.