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dell'impero romano cap. xlvi. 385

[A. D. 603] Anche dopo la morte di Foca, la Repubblica gemè travagliata pe’ suoi delitti, i quali armarono del pretesto di una pia causa il più formidabile de’ suoi nemici. Secondo le amichevoli ed eguali formalità, stabilite tra la corte Bizantina e la Persiana, egli annunziò a Cosroe il suo esaltamento al trono; e Lilio che presentato gli avea le teste di Maurizio e de’ suoi figliuoli, gli parve idoneo a descrivere le circostanze di quella tragica scena1. Checchè si facesse dalla finzione e dal sofisma per colorare il racconto, Cosroe torse con orrore gli sguardi dall’assassino, fece porre in ceppi il preteso ambasciatore, non riconobbe l’usurpatore, e si dichiarò il vindice del suo padre e benefattore. I sensi di dolore e di sdegno che l’umanità dovea provare, e dettare l’onore, si univano in quell’occasione a promovere l’interesse del Re Persiano; e quest’interesse era altamente magnificato dai pregiudizj nazionali e religiosi dei Magi e dei Satrapi. In uno stile di adulazione artificiosa, che usurpava la favella della libertà, essi ardirono di biasimare l’eccesso della sua gratitudine ed amicizia verso i Greci, nazione con cui era pericoloso lo stringere pace o alleanza; la cui superstizione andava priva di verità e di giustizia, e che incapace esser dovea di ogni virtù, poichè potevano commettere il più atroce di tutti i

  1. Teofilatto, l. VIII, c. 15. La vita di Maurizio fu scritta l’anno 628 (l. VIII, c. 13) dall’ex Prefetto Teofilatto Simocatta, nato in Egitto. Fozio, che dà un lungo estratto di quest’opera, dolcemente critica l’affettazione e l’allegoria che dominano il suo stile. La prefazione consiste in un dialogo fra la Filosofia e l’Istoria; esse siedono sotto un platano, e l’Istoria suona la sua lira.