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dell'impero romano cap. xlvi. 381

zio consentì a profittare e ad abusare della clemenza del suo assassino. La scoperta od il sospetto di una seconda cospirazione, sciolse l’impegno, e raccese il furore di Foca. Una matrona che comandava il rispetto e la pietà degli uomini, figlia, moglie e madre d’Imperatori, venne posta alla tortura, come il malfattore più vile, per forzarla a confessare i suoi disegni ed i suoi complici. L’Imperatrice Costantina fu decapitata, insieme con tre figlie innocenti, a Calcedonia su quel suolo istesso che lordato era ancora dal sangue di suo marito e de’ suoi cinque figliuoli. Dopo un tale esempio, riuscirebbe superfluo il noverare i nomi ed i patimenti delle vittime meno illustri. Di rado la condanna loro era preceduta dalle forme di un processo, ed attossicato n’era il supplizio dai raffinamenti della crudeltà: si traforavano gli occhi, si strappava la lingua dalle fauci, si troncavano i piedi e le mani. Alcuni spiravano sotto il flagello, altri in mezzo alle fiamme, altri a colpi di frecce; ed una semplice morte spedita era un atto di clemenza che di rado si poteva ottenere. L’Ippodromo, il sacro asilo de’ piaceri e della libertà de’ Romani, fu contaminato di teste e di membra e di cadaveri sbranati; e gli antichi compagni di Foca ben sentirono che il suo favore od i loro servizj non potevano camparli dal furore di un tiranno1 che degnamente gareggiava co’ Caligola o co’ Domiziani del primo secolo dell’Impero.

  1. Teofilatto (l. VIII, c. 13, 14, 15) descrive alcune delle crudeltà di Foca. Giorgio di Pisidia, poeta d’Eraclio, lo chiama (Bell. Abaricum, p 46; Roma 1777) Της τυραννιδος ο δυσκαθεκτος και βιοφθορος δρακων. L’ultimo epiteto è giusto; ma il corruttore della vita venne facilmente vinto.