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dell'impero romano cap. xlvi. 373

ed o scossero il giogo di tutte le leggi civili e militari, ovvero instituirono e stabilirono un pericoloso modello di subordinazione volontaria. Il Monarca, sempre distante e spesso ingannato, era incapace di cedere o di resistere, secondo che il bisogno del momento il chiedeva. Ma il timore di un generale sollevamento troppo facilmente lo indusse ad accettare qualche atto di valore o qualche espressione di fedeltà, come una espiazione dell’offesa comune. Abolita fu la nuova riforma colla stessa fretta con cui s’era promulgata, e le truppe, in vece di punizione e di freni, ricevettero con dolce sorpresa, un grazioso bando di perdono e di ricompense. Ma i soldati accettarono senza gratitudine i tardi ed involontari doni dell’Imperatore; crebbe l’insolenza loro nello scorgere la debolezza di lui; e la propria lor forza e lo scambievole odio loro infiammossi in modo di non lasciare nè il desiderio del perdono nè la speranza della riconciliazione. Gli storici di quei tempi abbracciano il volgare sospetto, che Maurizio cospirasse a distruggere le truppe ch’egli s’era adoperato a riformare; la cattiva condotta ed il favore di Commenziolo vengono imputati a questo malevolo divisamento; ed ogni secolo dee condannare l’inumanità o l’avarizia1 di un Principe, il quale col meschino riscatto di seimila monete d’oro, poteva impedire la strage di dodicimila prigionieri che il Cacano teneva

  1. Teofilatto e Teofane sembrano ignorare la cospirazione e la cupidità di Maurizio. Tali accuse così sfavorevoli alla memoria di quest’Imperatore, si ritrovano per la prima volta nella Cronaca di Pasquale (p. 379, 380), da cui Zonara le attinse (t. II, l. XIV, p. 77, 78). In quanto al riscatto dei dodicimila prigionieri, Cedreno (p. 399) ha seguito un altro calcolo.