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dell'impero romano cap. xlvi. | 371 |
vate forze, non si accingesse a vendicare la sua disfatta sotto le mura di Costantinopoli stessa1.
La teorica della guerra non era più familiare ai campi di Cesare e di Traiano2, che a quelli di Giustiniano e di Maurizio. Il ferro della Toscana e del Ponto riceveva una tempera più fina dalla industria degli artefici di Bisanzio. I magazzini erano abbondevolmente forniti di ogni maniera di armi da offesa o difesa. Nella costruzione e nell’uso delle navi, delle macchine e delle fortificazioni, i Barbari ammiravano il superiore ingegno di un popolo che così spesso essi rompevano in campo. La scienza della tattica, l’ordine, le evoluzioni, gli stratagemmi dell’antichità, ogni cosa era scritta e studiata ne’ libri de’ Greci e de’ Romani. Ma la solitudine o la degenerazione delle province più non poteva somministrare una razza d’uomini atti a brandir quelle armi, a guardar quelle mura, a guernir quelle navi, ed a ridurre la teorica della guerra in una pratica animosa e fortunata. Il genio di Belisario e di Narsete s’era formato senza un maestro; esso si spense senza lasciare un allievo. L’onore e l’amor di
- ↑ Si può tener dietro alle particolarità della guerra fra gli Avari, nel primo, secondo, sesto, settimo ed ottavo libro dell’Istoria dell’Imperatore Maurizio, scritta da Teofilatto Simocatta. Egli scriveva sotto il regno d’Eraclio, e non poteva quindi esser tentato ad adulare: ma la sua mancanza di discernimento lo rende diffuso nelle bagatelle, e conciso sui fatti più importanti.
- ↑ Maurizio medesimo compose dodici libri sopra l’arte della guerra che esistono tuttora, e che furono pubblicati (Upsal, 1664) da Giovanni Schaeffer, in fine della Tattica d’Arriano (Fabrizio, Bibl. graeca l. IV, c. 8, t. III p. 278 che promette d’estendersi ancor più su quest’opera, allorchè gliene si presenterà una favorevole occasiono).