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della Satira e della Commedia più che della grave istoria, poichè mancante egli era perfino della meschina e volgare qualità del personale coraggio. I consigli da lui solennemente radunati, le strane sue evoluzioni, ed i secreti suoi ordini, sempre gli porgevano un’apologia per la fuga o per la dilazione. Se egli marciava contro il nemico, le dilettose valli del monte Emo gli opponevano un’insuperabil barriera; ma nel ritirarsi egli rintracciava con impavida curiosità, i più ardui ed abbandonati passi ch’erano già usciti dalla memoria de’ più vecchi del paese. Il solo sangue che egli versasse, gli fu tratto in una reale o finta malattia dalla lancetta di un chirurgo; e la sua salute che con esquisita delicatezza sentiva l’avvicinarsi de’ Barbari, uniformemente si ristabiliva nel riposo e nella sicurezza della stagione invernale. Un Principe ch’ebbe l’animo di esaltare e proteggere un favorito sì indegno, non può ricavare alcuna gloria dal merito accidentale di Prisco, cui dato gli avea per collega1. In cinque battaglie, condotte, a quanto parve, con saviezza ed ardire, il Generale romano fece prigionieri diciassettemiladugento Barbari, e ne spense quasi sessantamila, fra’ quali quattro figliuoli del Cacano. Egli sorprese un pacifico distretto de’ Gepidi, che dormivano sotto la protezione degli Avari, ed innalzò gli ultimi suoi trofei sulle rive del Danubio e del Tibisco. Dalla morte di Traiano in poi, le armi dell’Impero non si erano mai più internate sì profondamente nella Dacia antica: contuttociò passeggiere e sterili tornarono le vittorie di Prisco; nè molto andò che fu richiamato, pel timore che Baiano con intrepido animo e rino-

  1. Vedi le imprese di Prisco, l. VIII, c. 2, 3.