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dell'impero romano cap. xlvi. 365

fosse più sacro e più venerabile tra i Cristiani, e qual delitto di spergiuro tornasse più funesto. Il Vescovo di Singiduno gli presentò il Vangelo, ed il Barbaro con devoto ossequio lo prese. „Io giuro„ diss’egli, „per lo Dio che in questo sacro libro ha parlato, che io non ho falsità sulla mia lingua, nè tradimento dentro il mio cuore„. Indi si levò di ginocchio, affrettò il lavoro del ponte, e spedì un ministro a far sapere ciò che ormai più non gl’importava di tener occulto. „Ragguagliate l’Imperatore„ disse il perfido Bajano, „che Sirmio da ogni banda è cinto d’assedio. Consigliate la sua prudenza a trarne fuori gli abitanti colle robe loro, ed a porre nelle mie mani una città ch’egli non può soccorrere nè difender più oltre„. Benchè senza speranza di ajuto, Sirmio si difese più di tre anni: intatte ancor ne restavan le mura, ma la fame era chiusa dentro il loro recinto. Finalmente una mite capitolazione porse lo scampo agl’ignudi e famelici suoi cittadini. Singiduno, distante cinquanta miglia da Sirmio, soggiacque ad un più crudele destino; rase ne furon le case ed il vinto popolo fu condannato alla schiavitù ed all’esilio. Eppure le rovine di Sirmio più non si ravvisano, mentre la vantaggiosa posizione di Singiduno vi attirò prestamente una nuova colonia di Schiavoni, ed il confluente della Sava e del Danubio anche presentemente è tenuto a freno dalle fortificazioni di Belgrado, ossia la Città Bianca, sì spesso e sì ostinatamente contrastata dalle armi Cristiane e dalle Turche1. Da Belgrado alle mura

  1. Vedi d’Anville, (Mém. de l’Accad. des Inscriptions t. XXVIII, p. 412-443). Costantino Porfirogenito nel decimo secolo faceva uso del nome di Belgrado che è schiavone, ed