|
dell'impero romano cap. xlvi. |
363 |
con disgusto e forse con terrore quell’enorme bestione; e rise della vana industria de’ Romani, che per rintracciare tali inutili vanità correvano a’ confini della terra e del mare. Gli venne vaghezza, a spese dell’Imperatore, di dormire in un letto d’oro. I tesori di Costantinopoli ed i rari talenti degli artefici di quella capitale immediatamente furono posti in opera ad appagare il capriccio del Barbaro, ma quando il lavoro fu terminato, egli rigettò con dispetto un presente cotanto indegno della maestà di un gran Re1. Tali erano gli accidentali trasporti dell’orgoglio del Cacano: ma la sua avarizia era una passione più ostinata e più trattabile. Gli si mandava, con esattezza, considerabile quantità di stoffe seriche, di addobbi e di vasellame ben lavorato, doni che introducevano i rudimenti delle arti e del lusso sotto le tende degli Sciti. Eccitato era il loro appetito dal pepe e dalla cannella dell’India2: il sussidio ossia tributo annuo fu innalzato da ottanta a cento ventimila monete d’oro; ed ogni volta che le ostilità ne interrompevano il corso, il pagamento de’ residui con un esorbitante interesse era sempre la prima condizione del nuovo accordo. Usando il parlare di un Barbaro senz’artifizio, il Principe degli Avari affettava di lagnarsi della poca sin-
- ↑ Teofilatto, l. 1, c. 5, 6.
- ↑ Il Cacano si dilettava di far uso di questi aromati anche nel campo, e comandava che gli si presentassero Ινδικας καρυχιας e ricevette πεπρι και φυγγον Ινδων, κασιαν τε και τον λεγομενον κοσον. (Teofilatto, l. VII, c. 13). Gli Europei, delle età più rozze, consumavano nel mangiare e nel bere più aromi che non comporti la delicatezza di un moderno palato. Vie privée des Français, t. II, p. 162, 163.