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346 storia della decadenza

l’età e la fatica ebbero infiacchito le forze e forse le facoltà di questo prudente consigliere, egli si ritirò dalla Corte, ed abbandonò il giovine monarca alla proprie passioni ed a quelle de’ suoi favoriti. Pel fatale avvicendamento delle cose umane, si rinnovarono in Ctesifonte le medesime scene che si erano vedute in Roma alla morte di Marco Antonino. I ministri della piacenteria e della corruzione, ch’erano stati banditi dal padre, vennero richiamati ed accarezzati dal figlio; la disgrazia e l’esilio degli amici di Nushirvan stabilì la tirannia di costoro; e la virtù, a grado a grado, si dipartì dal cuore di Ormuz, dalla reggia di lui, e dal governo del suoi Stati. I fedeli agenti, occhi ed orecchie del Re, lo ragguagliarono del crescente disordine, lo avvertirono che i governatori provinciali piombavano sulla preda loro colla ferocità de’ leoni e delle aquile, e che la rapina e l’ingiustizia loro trarrebbero i più fedeli de’ suoi sudditi ad abborrire il nome e l’autorità del loro Sovrano. Punita colla morte fu la sincerità di questo consiglio; s’ebbero in non cale le mormorazioni delle città; se ne acchetarono con esecuzioni militari i tumulti; furono aboliti i poteri intermediarj tra il trono ed il Popolo; e la fanciullesca vanità di Ormuz, che affettava l’uso giornaliero della tiara, lo spinse a dichiarar ch’egli solo era il giudice, come solo era il padrone del regno. In ogni detto ed atto il figlio di Nushirvan degenerò dalle virtù del genitore. La sua avarizia fraudò le truppe de’ loro stipendj; i gelosi suoi capricci avvilirono i Satrapi: il palazzo, i tribunali, i flutti del Tigri furono macchiati del sangue dell’innocente, ed il tiranno esultò ne’ tormenti e ne’ supplizj di tredicimila vittime. Per discolparsi della sua crudeltà, egli talvolta