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dell'impero romano cap. xlv. | 293 |
[A. D. 562-570] Qualunque si fossero i motivi della sua sicurezza, Alboino non s’aspettò d’avvenirsi, nè si avvenne in alcun esercito Romano in campo. Egli salì le Alpi Giulie, e con disprezzo e desiderio giù volse gli occhi sulle fertili pianure, a cui la sua vittoria conferì il perpetuo nome di Lombardia. Un capitano fedele ed uno scelto drappello erano stanziati nel Foro di Giulio, il moderno Friuli, per guardare i passi de’ monti. I Lombardi rispettarono la forza di Pavia, e porsero ascolto alle preghiere de’ Trevigiani. La tarda e pesante lor moltitudine si avanzò ad occupare il palazzo e la città di Verona; e Milano che allora sorgea dalle sue ceneri, fu investita dalle forze di Alboino, cinque mesi dopo la sua partenza dalla Pannonia. Il terrore precedeva il suo campo; egli trovò o lasciò per ogni dove una solitudine spaventosa; ed i pusillanimi Italiani giudicarono, senza cimentarsi, che lo straniero era invincibile. Fuggendo pe’ laghi, su i monti, in seno alle paludi, le turbe atterrite nascondevano alcuni brani della loro ricchezza e procrastinavano il momento del loro servaggio. Paolino, patriarca di Antiochia, trasportò i suoi tesori sacri e profani nell’isole di Grado1 ed
- ↑ In seguito a questa translazione, l’Isola di Grado prese il nome di Nuova Aquileja (Chron. Venet. p. 3). Il Patriarca di Grado non tardò molto a diventare il primo cittadino della Repubblica (p. 9 ec.); ma la sua sede non si trasferì a Venezia che nel 1450, e presentemente è carico di titoli e di onori. Ma il genio della Chiesa s’abbassò innanzi al genio dello Stato, ed il governo di Venezia cattolica è presbiteriano in tutto il rigor del termine (Tomassino, Discip. de l’Eglise, t. 1 p. 156, 157, 161-165; Amelot de la Houssaye, Gouvernement de Venise, t. 1 p. 256-261).
e ne’ sette primi del secondo, ci fa conoscere i disegni di Narsete e dei Lombardi intorno all’invasione dell’Italia.