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dell'impero romano cap. xliv. 261

pace1 e le sanguinose massime dell’onore erano sconosciute ai Romani; e, per lo spazio dei due secoli più puri, dallo stabilimento dell’egual libertà sino al fine delle guerre Puniche, la Città non fu mai perturbata da sedizioni, e di rado fu contaminata da atroci delitti. Allor quando le fazioni domestiche e la dominazione al di fuori ebbero infiammato ogni vizio, più vivamente si sentì la mancanza delle leggi penali. Al tempo di Cicerone, ogni cittadino privato godeva il privilegio dell’anarchia: ogni ministro della Repubblica poteva innalzare le ambiziose sue mire sino alla regale potenza, e lode tanto maggiore meritavano le loro virtù, in quanto ch’erano gli spontanei frutti della natura o della filosofia. Verre, tiranno della Sicilia, poi che s’ebbe per tre anni saziato di libidine, di rapina e di crudeltà, non potè esser citato in giudizio che per la restituzione pecuniaria di trecentomila lire sterline, e tale fu la moderazione delle leggi, de’ giudici e forse dell’accusatore medesimo2 che col rifondere una tredicesima parte del suo bottino, fu concesso a Verre di ritirarsi in un esilio placido e voluttuosonota.3

  1. Πρωτοι δε Αθηναιοι τον τε σιδηρον κατεθεντο (Tucidide, l. 1 c. 6). L’istorico che da questa circostanza ricava un mezzo di giudicare lo stato della civiltà, sdegnerebbe il barbarismo d’una Corte Europea.
  2. Cicerone aveva in origine calcolato i danni della Sicilia a millies (ottocentomila lire sterline, Divinatio in Caecilium, c. 5); in seguito poi li ridusse a quadraginties (trecentomila lire sterline, prima aringa, in Verrem, c. 18), e finalmente si accontentò di tricies (ventiquattromila lire sterline). Plutarco (in Ciceron. t. III p. 1584) non ha dissimulato i sospetti ed i romori che in allora si sparsero.
  3. Verre passò circa trent’anni nel suo esilio, fino all’e-