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dell'impero romano cap. xliv. 259

ingentilendo, il codice criminale dei Decemviri fu abolito dall’umanità degli accusatori, dei testimoni e dei giudici; e l’impunità divenne la conseguenza di un rigore fuor di misura. La legge Porzia e la Valeria proibirono a’ magistrati di applicar ad un cittadino libero qualsivoglia capitale od anche corporale castigo; e gli anticati statuti di sangue vennero artificiosamente, e forse con verità attribuiti allo spirito di tirannide dei re, non dei patrizi.

Nella mancanza delle leggi penali e nell’insufficienza delle azioni civili, la pace e la giustizia della città erano imperfettamente mantenute dalla giurisdizione privata de’ cittadini. I malfattori che riempiono le nostre carceri, sono il rifiuto della società, e si può comunemente ascrivere ad ignoranza, a povertà ed a brutali appetiti quei delitti di cui sostengon la pena. Per commettere impunemente simili enormità, un vile plebeo poteva rivocar il sacro carattere di membro della Repubblica ed abusarne: ma sulla prova od anche sul sospetto del delitto, lo schiavo o lo straniero veniva attaccato ad una croce, e questa rigida e sommaria giustizia si poteva esercitare senza impedimento sopra la massima parte del popol minuto di Roma. Ogni famiglia conteneva un tribunale domestico, il quale non era limitato, come quello del Pretore, alla cognizione delle azioni esterne: la disciplina dell’educazione inculcava massime ed abitudini di virtù; ed il padre Romano era mallevadore verso lo Stato dei costumi de’ suoi figliuoli, poichè disponeva egli senza appello della vita, della libertà e dell’eredità loro. In certi frangenti, il cittadino aveva autorità di vendicare i suoi torti privati od i pubblici. Il consentimento delle leggi giudaiche, ateniesi e romane permetteva di am-