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dell'impero romano cap. xliv. 257

La malvagità di un incendiario. Questi era battuto colle verghe dapprima, poi consegnato egli stesso alle fiamme; solo esempio in cui la nostra ragione sia tentata di approvar la giustizia della pena del taglione. V. Lo spergiuro giudiziale. Il testimonio malizioso o corrotto era lanciato capovolto giù dalla rocca Tarpeia per espiare la sua falsità, che più fatale era fatta dalla severità delle leggi penali, e dalle mancanze di prove scritte. VI. La corruzione di un giudice, il quale accettava regali per dare una sentenza iniqua. VII. I libelli e le satire, i cui rozzi versi alle volte perturbarono la pace di una città senza lettere. Se ne puniva a colpi di bastone l’autore, meritato castigo; ma non è ben certo se lo lasciassero spirare sotto i colpi del manigoldo. VIII. La notturna tristizia di danneggiare o distruggere la messe del vicino. S’impendeva il delinquente come gradita vittima a Cerere. Ma le Deità boscherecce erano implacabili meno, e l’estirpazione dell’albero più prezioso non traeva dietro di se che l’ammenda di venticinque libbre di rame. IX. Le incantagioni magiche: che avevan forza, a quanto credevano i pastori del Lazio, di estenuare un nemico, di spegnerne la vita, e di sterpar dalle sedi le piantagioni che avevano posto radici più salde. Ci rimane a parlare della crudeltà delle Dodici Tavole ver-

    p. 57). Durante la guerra de’ Cimbri, P. Malleolo si rese colpevole del primo matricidio (Tito Livio, Epit. l. LXVIII).