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dell'impero romano cap. xliv. 253

diante un’azione civile di furto: esse potevano passare per una serie di mani innocenti e pure, ma soltanto una prescrizione di trent’anni era valevole ad estinguere l’originale suo diritto. Gli si restituivano quegli effetti per sentenza del Pretore, e si compensava l’ingiuria col pagamento del doppio, del triplo ed anche del quadruplo del loro valore, secondo ch’era succeduta una frode secreta, od una rapina aperta, e secondo che il rubatore era stato sorpreso sul fatto, ovvero scoperto per una susseguente ricerca. La legge Aquilia1 difendeva la vivente proprietà di un cittadino, i suoi schiavi ed il suo bestiame, dai colpi della malizia, o dai danni della negligenza: essa condannava il colpevole a pagare il più alto prezzo a cui si potesse stimare l’animale domestico in un qualunque momento dell’anno che ne aveva preceduto la morte. Per la distruzione di ogni altro valutabile oggetto si lasciava una latitudine di trenta giorni all’estimazione. Un’ingiuria personale viene alleggerita od aggravata dai costumi del tempo, e dalla severità dell’individuo: l’equivalente del dolore o dell’offesa di una parola o di una percossa non si può facilmente valutare in denaro. La rozza giurisprudenza dei Decemviri aveva confuso tutti gli insulti fatti nel bollore dell’ira, che non giungevano alla rottura di un membro, ed essa condannava l’aggressore alla comune multa di venticinque assi. Ma la stessa denominazione di moneta fu ridotta, in tre secoli, da una libbra alla metà di un’oncia; e l’insolenza di un ricco Romano si prendeva a buon mercato lo sciaurato spasso di trasgredire e di

  1. Noodt (Opp. t. 1 p. 137, 172) ha composto un trattato particolare sulla legge Aquilia (Pandect. l. IX tit. 2).