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dell'impero romano cap. xliv. 243

le vite e le sostanze de’ suoi figliuoli, poteva distribuirne le rispettive parti, secondo i gradi del loro merito e del loro affetto: l’arbitrario disgusto puniva un figlio indegno colla perdita del suo retaggio, e coll’umiliante preferenza di uno straniero. Ma l’esempio di molti padri snaturati mostrò il bisogno di porre alcun freno alla loro facoltà di testare. Un figlio, o, secondo le leggi di Giustiniano, anche una figlia, non poterono più essere diseredati pel solo silenzio del padre: questi era tenuto a nominare il colpevole ed a specificare l’offesa: e la giustizia dell’Imperatore determinò le sole cagioni che potevano giustificare un tale infragnimento dei primi principi della natura e della società1. A meno che si lasciasse ai figliuoli la legittima, ossia la quarta parte dei beni, essi avevan diritto d’instituire un processo od una querela contro quel testamento inofficioso, di supporre che la malattia o l’età avessero debilitato la mente del lor genitore, e di appellarsi rispettosamente dalla rigida sua sentenza alla riflessiva sapienza del magistrato. Nella giurisprudenza Romana, si ammise una distinzione essenziale tra l’eredità ed i Legati. Gli eredi che succedevano all’intera unità, o ad alcuna delle dodici frazioni della sostanza del testatore, rappresentavano il suo carattere civile e religioso, ne facevano valere i diritti, ne eseguivano gli obblighi, e adempivano i doni dell’amicizia e della liberalità, che l’ultimo suo volere avea lasciato in testamento sotto il nome di Legati. Ma siccome l’imprudenza o la pro-

  1. Giustiniano (Novella 115 n. 3, 4) fa l’enumerazione de’ delitti pubblici e privati, che soli potevano dare anche al figlio il diritto di diseredare suo padre.