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dell'impero romano cap. xliv. 235

dire il vero, può essere la libertà e la prosperità di una piccola colonia, piantata sopra un’isola fertile. Ma la colonia moltiplica, mentre lo spazio sempre rimane lo stesso: gli audaci e gli scaltri si fanno padroni assoluti dei comuni diritti, retaggio eguale di tutti gli uomini; ogni campo, ogni selva vien circoscritta dai limiti di un padrone geloso, e particolar lode è dovuta alla giurisprudenza Romana, la quale attribuisce al primo occupante il diritto sovra tutti gli animali selvaggi della terra, dell’aria e dell’acqua. Nel progresso dall’equità primitiva alla finale ingiustizia, taciti sono i passi, quasi impercettibile l’ombra, e l’assoluto monopolio vien difeso da leggi positive e da un’artificiale ragione. L’attivo insaziabil principio dell’amor proprio può solo provvedere alimento alle arti della vita e salario all’industria, e tosto che il governo civile e la proprietà esclusiva si sono introdotti, essi diventano necessari all’esistenza della schiatta umana. Fuori che nelle singolari instituzioni di Sparta, i legislatori più saggi hanno disapprovato la legge agraria come un’innovazione falsa e pericolosa. Appresso i Romani l’enorme sproporzione delle ricchezze oltrepassò gli ideali termini di una tradizione dubbiosa, e di uno statuto andato in disuso. Secondo la tradizione, il più povero seguace di Romolo aveva avuto in dono la perpetua proprietà di due jugeri1: lo statuto ristrigneva i Cittadini più ricchi a non possedere

  1. Varrone determina l’heredium de’ primi Romani (De re rustica, l. 1 c. 2 p. 141; c. 10 p. 160, 161, ediz. Gesuer). Le declamazioni di Plinio (Hist. nat. XVIII, 2) oscurano questa materia. Si trovano su questo soggetto varie giuste ed erudite osservazioni nell’Administration des terres chez les Romains, p. 12-66.