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dell'impero romano cap. xliv. 225

rinunziare il suo tiranno, ed il tiranno non aveva la volontà di abbandonare il suo schiavo. Allor quando le matrone Romane divennero le eguali e volontarie compagne dei loro padroni, s’introdusse una nuova giurisprudenza, ed il matrimonio, come le altre società potè disciogliersi mediante l’abdicazione di uno dei compagni. In tre secoli di prosperità e di corruzione questo principio ampliossi al segno che frequente la pratica e pernicioso ne divenne l’abuso. La passione, l’interesse od il capriccio suggerivano ogni giorno motivo di sciorre i legami del matrimonio. Una parola, un segno, un messaggio, una lettera, l’ambasciata di un liberto, dichiaravano la separazione; e il più tenero dei vincoli umani fu abbassato fino a divenire una passaggiera società di piacere o di profitto. Secondo le varie condizioni della vita, i due sessi alternamente provarono la vergogna e l’oltraggio. Una moglie incostante trasportava le sue ricchezze in una nuova famiglia, abbandonando una numerosa e forse spuria progenie alla paterna autorità ed alle cure dell’ultimo suo marito; una donna, venuta vergine e bella alle nozze, potea esser rimandata nel mondo vecchia, povera e senza amici; ma la ripugnanza dei Romani, quando furono stimolati al matrimonio da Augusto, bastevolmente ci fa vedere che le instituzioni predominanti erano meno favorevoli ai maschi. Una speciosa teoria vien confutata da questo libero e perfetto sperimento, il qual dimostra che la

    rato da’ Censori e detestato dal popolo; ma la legge non si opponeva punto al suo divorzioa.

    1. Questo fatto viene altrimenti raccontato e spiegato da Montesquieu. (Esprit. des Lois, l. XVI. c. 16) (Nota dell’Editore).