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dell'impero romano cap. xliv. 207

depositato or giace nell’antico palazzo della Repubblica1.

Primo pensiero di un riformatore è quello di antivenire ogni riforma futura. Affinchè inviolato si mantenesse il testo della Pandette, dell’Instituta e del Codice, rigorosamente si proscrisse l’uso delle cifre e delle abbreviature; e Giustiniano rammentandosi che l’Editto Perpetuo era stato sepolto sotto il peso dei comenti, dichiarò che si punirebbe qual falsatore il temerario legista che ardisse d’interpretare o di pervertire il volere del suo Sovrano. I discepoli di Accursio, di Bartolo e di Cuiacio, dovrebbero arrossire dell’accumulato lor fallo, a meno che non si sentissero l’animo di contendere al Principe il diritto di vincolare l’autorità de’ suoi successori e la natia libertà dell’intelletto. Ma l’Imperatore non era da tanto di fissare la sua propria incostanza; e mentre vantavasi di rinnovare l’esempio di Diomede, col trasmutare il rame in oro2, scoprì la necessità di purificare il suo

    stravano ai curiosi colla testa nuda e colle torce accese (Brenckman, l. 1 c. 10, 11, 12 p. 62-93).

  1. Enrico Brenckman, olandese, dopo d’aver paragonato il testo di Poliziano, di Bolognino, d’Antonino Angustino, e la bella edizione delle Pandette del Taurello, intraprese nel 1551 un viaggio a Firenze, e vi passò molti anni a studiar quel solo manoscritto. La sua Historia Pandectarum Florentinorum, Utrecht, 1722, in-4, che annuncia un sì gran lavoro, non è tuttavia che una piccola parte del primitivo suo piano.
  2. Κρυσεα χαλκειων, εκατομβοιων, apud Homerum patrem omnis virtutis, prima prefazione delle Pandette. In un atto del Parlamento d’Inghilterra ci farebbe sorpresa un verso di Milton o del Tasso. Quae omnia obtinere sancimus in omne aevum. Nella seconda prefazione, parlando del primo Codice, egli dice: in aeternum valiturum. Un uomo ed un per sempre!