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dell'impero romano cap. xliv. 203

come sediziose, le libere massime che difese venivano da’ primi giureconsulti Romani1; ma l’esistenza dei fatti passati è posta fuor della giurisdizione del dispotismo, e l’Imperatore si macchiò di frode e di falsità quando corruppe l’integrità del lor testo, scrisse, coi venerabili lor nomi in fronte, le parole e le idee del servile suo regno2, e soppresse, colla mano della potenza, le pure ed autentiche copie de’ lor sentimenti. Le mutazioni ed interpolazioni di Triboniano e de’ suoi colleghi hanno per iscusa il pretesto dell’uniformità ma insufficienti riuscirono le cure loro; e le antinomie o contraddizioni del Codice e delle Pandette esercitano anche al presente la pazienza e la sottigliezza de’ giureconsulti moderni3.

Una voce, priva di evidenza, si propagò da’ nemici di Giustiniano; ed è che la giurisprudenza di Roma

  1. Nomina quidem veteribus servavimus, legum autem veritatem nostram fecimus. Itaque si quid erat in illis seditiosum, multa autem talia erant ibi reposita, hoc decisum est et definitum, et in perspicuum finem deducta est quaeque lex (Cod. Just. l. 1 tit. 17 leg. 3 n. 10). Confessione priva d’artifizio!
  2. Il numero di tali emblemata, termine assai civile per coprire falsità di questa specie, venne molto ridotto da Bynkershoek negli ultimi quattro libri delle sue osservazioni, il quale, con miserabili rapsodie, sostiene il diritto che aveva Giustiniano di pretenderle, e l’obbligo di Triboniano d’obbedirgli.
  3. Le antinomie, o le leggi contradditorie del Codice e delle Pandette servono talvolta di cagione, e spesso anche di scusa alla gloriosa incertezza delle leggi civili, la quale bene spesso produce, come Montaigne le chiama, les questions pour l’ami. Vedi un bel passo di Francesco Balduino intorno a Giustiniano, l. II p. 259, ecc. apud Ludwig p. 305, 306.