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degli antiquarj, ma per l’immediato benefizio de’ suoi sudditi. Spettava ad essi il dovere di scegliere le parti utili e pratiche della legge Romana; e gli scritti degli antichi Repubblicani, curiosi ed eccellenti, più non si accordavano col nuovo sistema di costumi, di religione e di guerra. Se i precettori e gli amici di Cicerone vivessero ancora, il nostro candore ci trarrebbe forse a confessare che, tranne la purità della lingua1, l’intrinseco loro merito fu superato dalla scuola di Papiniano e di Ulpiano. La scienza delle leggi e il tardo frutto del tempo e della esperienza, ed il vantaggio sì del metodo che de’ materiali, tocca naturalmente agli autori più recenti. I giureconsulti del regno degli Antonini avevano studiato le opere de’ loro predecessori: il filosofico loro ingegno avea mitigato il rigore dell’antichità, e fatte più semplici le forme del procedere, sollevandosi sopra la gelosia ed il pregiudizio delle Sette rivali. La scelta delle autorità che compongono le Pandette, venne commessa al giudizio di Triboniano: ma tutto il potere del suo principe non poteva assolverlo dalle sacre obbligazioni della verità e della fedeltà. Come legislator dell’Impero, Giustiniano potea rifiutare le leggi degli Antonini, o condannare,

  1. Se Triboniano venga spogliato di quella scientifica corteccia in cui si avviluppa, se gli si condonino i termini tecnici, si troverà che il latino delle Pandette non è indegno del secolo d’argento. Esso venne furiosamente attaccato da Lorenzo Valla, fastidioso grammatico, del decimoquinto secolo e da Florido Sabino suo apologista. L’Alciato ed un autore anonimo, verisimilmente Giacomo Capello, lo hanno difeso. Il Duker ha raccolto questi diversi trattati sotto il titolo di Opuscula, de latinitate veterum jureconsultorum. Lugd. Bat. 1721, in-12.