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trattati in un compendio di cinquanta libri, e diligentemente si ricorda che tre milioni di linee o sentenze1 si trovano, in questo estratto, ridotto al modesto numero di cento e cinquantamila. La pubblicazione di questa grand’opera fu differita un mese dopo la pubblicazione della Instituta, e ragionevol parve che gli elementi precedessero il Digesto della legge Romana. Tosto che l’Imperatore ebbe approvato il lavoro di questi Cittadini privati, egli ratificò colla sua legislativa potestà le speculative loro opinioni. I comenti ch’essi fecero alle Dodici Tavole, all’Editto Perpetuo, alle leggi del Popolo e ai decreti del Senato, succederono all’autorità del testo; il quale fu abbandonato come una venerabile, ma inutile reliquia dei tempi antichi. Si dichiarò che il Codice, le Pandette e l’Instituta erano il sistema legittimo della giurisprudenza civile; soli essi furono ammessi nei Tribunali, soli furono insegnati nelle accademie di Roma, di Costantinopoli e di Berito. Giustiniano indirisse al Senato ed alle Province i suoi oracoli eterni, ed il suo orgoglio, sotto la maschera della pietà, attribuì l’eseguimento, di questo eccelso disegno all’aiuto ed all’inspirazione della Divinità.

Poichè l’Imperatore scansò la fama e l’invidia di

    bia aggiunti cinquantaquattro; ma bisogna ch’egli abbia confuso i giureconsulti vagamente citati, con quelli di cui se ne sono dati degli estratti.

  1. I Στιχοι degli antichi manoscritti erano sentenze o periodi di un senso completo, che formavano altrettante linee non egualmente lunghe, sulla larghezza de’ rotoli di pergamena. Il numero de’ Στιχοι di ciascun libro manifestava gli errori de’ copisti, Ludewig (p. 211-215) e Suicer da dove ha attinto (Thes. eccles. t. 1 p. 1021-1036).