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riva una specie di preferenza e di autorità ai suoi sentimenti privati: con rispetto si riguardava l’opinione di un Censore o di un Console, e le virtù od i trionfi di un giurisperito porgevano peso ad una interpretazione forse dubbia delle leggi. Il velo del mistero protesse per lungo tempo le arti de’ Patrizj, ed in tempi più illuminati la libertà delle indagini stabilì i principii generali della giurisprudenza. Le disputazioni del Foro dilucidarono i casi sottili ed avviluppati; si ammisero varie norme, varj assiomi e varie definizioni1, come i dettati genuini della ragione; ed il consentimento dei professori di legge influì sulla pratica dei Tribunali. Ma questi interpreti non potevano sancire nè eseguire le leggi della Repubblica, ed i Giudici potevano avere in non cale l’autorità degli stessi Scevola che spesso veniva sopraffatta dall’eloquenza o dai sofismi di un avvocato ingegnoso. Primi furono2 Augusto e Tiberio ad adottare, come utile stromento, la scienza de’ legulei; le servili fatiche di questi accomodarono l’antico sistema allo spirito ed alle mire del dispotismo. Col bel pretesto di assicurare la dignità dell’arte, il privilegio di sottoscrivere opinioni valide e legali fu ristretto ai Savj di grado senatorio, o dell’ordine equestre, i quali preventivamente dovevano essere approvati dal giudizio del Principe; e questo monopolio prevalse, sinchè la libertà della professione non fu restituita da Adriano

  1. Si citava specialmente la regola di Catone, la stipulazione d’Aquilio, e le formole Manilie, duecento undici massime, e duecento quarantasette definizioni (Pandect. l. I, tit. 16, 17).
  2. Leggasi Cicerone, l. I, de Oratore, Topica, pro Murena.