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dell'impero romano cap. xliv. | 189 |
pei doveri della vita sociale. Si riconobbe poi che la più salda tempra di queste diverse armature era quella degli Stoici1; e le scuole di giurisprudenza sen valsero più che delle altre, sì per l’uso che per l’ornamento. I Giureconsulti romani impararono dal Portico a vivere, a ragionare ed a morire: ma succhiarono in parte i pregiudizi della setta, l’amore del paradosso, il pertinace abito del disputare, ed un minuto attaccamento alle parole, ed alle distinzioni verbali. S’introdusse la superiorità della forma sopra la materia per fondare il diritto di proprietà: e l’eguaglianza dei delitti viene sostentata da un’opinione di Trebazio2, il quale asserisce che chi tocca un orecchio, tocca tutto il corpo, e che chi ruba alcun che da un mucchio di grano o da una botte di vino, è colpevole dell’intero furto3.
Le armi, l’eloquenza e lo studio della legge civile innalzavano un cittadino di Roma alle dignità dello Stato, e le tre professioni ricavavano spesse volte più lustro dall’unione loro in uno stesso individuo. La scienza del Pretore che componeva un editto, confe-
- ↑ Panezio, l’amico del giovine Scipione, fu il primo che in Roma insegnasse la filosofia stoica. Vedi la sua vita nelle Mem. dell’Accad. delle Iscriz. t. 10, p. 75-89.
- ↑ Come è citato da Ulpiano (leg. 40, ad Sabinum in Pandect. l. XLVII, t. 2, leg. 21). Trebazio dopo essere stato giureconsulto di primo ordine, qui familiam duxit, diventò un Epicureo (Cicer. ad Familiares, VII, 5). Forse in questa nuova setta mancò di costanza o di buona fede.
- ↑ Vedi Gravina (p. 45-51) e le frivole obbiezioni di Mascou; Eineccio (Storia I. R. n. 125) cita ed approva una dissertazione di Everardo Otto, de Stoica Jurisconsultorum philosophia.