Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/192

188 storia della decadenza

legulejo di professione; ma la giurisprudenza della sua patria trasse ornamento dal suo incomparabile ingegno che trasforma in oro ogni oggetto cui tocca. Seguendo l’esempio di Platone, egli compose una Repubblica, e ad uso della sua Repubblica compilò un trattato di leggi in cui si sforza di dedurre da celeste origine la sapienza e la giustizia della costituzione Romana. L’intero Universo, secondo la sublime sua ipotesi, forma un’immensa Repubblica: i Numi e gli uomini che partecipano della stessa essenza sono membri della stessa comunità; la ragione prescrive la legge della natura e delle nazioni, e tutte le instituzioni positive, quantunque modificate dall’accidente o dal costume, sono tratte dalla norma del retto, che la Divinità ha stampato in ogni animo virtuoso. Da questi misteri filosofici, dolcemente egli esclude gli Scettici, i quali ricusano di credere, e gli Epicurei, i quali non hanno volontà di operare. Questi ultimi disdegnano le cure della Repubblica; egli dà loro il consiglio di abbandonarsi al sonno negli ombrosi lor orti. Ma umilmente prega la nuova Accademia di tenere il silenzio, poichè le audaci obbiezioni di essa tosto distruggerebbero l’elegante e ben ordinata struttura del suo grande sistema1. Egli rappresenta Platone, Aristotele e Zenone come i soli maestri che armino ed ammaestrino un cittadino

  1. Perturbatricem autem omnium harum rerum accademiam, hanc ab Arcesilao et Carneade recentem, exoremus ut sileat, nam si invaserit in haec, quae satis scite instructa et composita videantur, nimis edet ruinas, quam quidem ego placare cupio, submovere non audeo. De legibus, 1, 13. Questo solo passo doveva insegnare a Bentley (Remarks on Free-Thinking, p. 250) quanto Cicerone fosse fermamente attaccato alla speciosa dottrina che egli ha abbellito.