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dell'impero romano cap. xliv. | 183 |
cino qualche effetto rubatogli, egli nascondea la sua nudità con un pezzo di tela di lino, e si copriva il volto con una maschera o con un bacino per timore d’incontrar gli occhi di una vergine o di una Matrona1. In un’azione civile, il querelante toccava l’orecchio del suo testimonio, afferrava per la gola il suo riluttante avversario, ed implorava, con solenni lamenti, l’ajuto de’ suoi Concittadini. I due competitori si abbrancavan per le mani, come se fossero pronti a combattere innanzi al Tribunal del Pretore: egli ordinava loro di produrre l’oggetto del litigio; essi discostavansi, poi ritornavano con passi misurati, e gettavano a’ suoi piedi una zolla, per rappresentare il Campo che si contendevano. Questa occulta scienza delle parole e delle azioni della legge, era il retaggio dei Pontefici e dei Patrizj. Non diversamente dagli Astrologi Caldei, essi annunciavano ai loro clienti i giorni d’operare e quelli di riposare; queste importanti bagattelle erano intrecciate colla religione di Numa, ed anche dopo la pubblicazione delle Dodici Tavole, l’ignoranza delle forme giudiziarie continuò a tenere i Romani in una specie di servitù. Il tradimento di alcuni uffiziali plebei rivelò finalmente questi fruttuosi misterj: venne un secolo più illuminato che osservò le azioni legali, ridendosi di loro: e la
- ↑ Ne’ tempi degli Antonini non si conosceva più il significato delle forme ordinate in caso di un furtum lance licioque conceptum. (Aulo Gellio, XVI, 10). Eineccio (Antiq. rom. l. IV tit. 1 n. 13-21) che le fa derivare dall’Attica, cita Aristofane, lo scoliaste di questo poeta, e Polluce, a sostegno della sua opinione.
giureconsulto e come magistrato. Schulting, ad Ulpian. Frag. tit. 22 n. 28, 643, 644.