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ogni paese sono desiderosi di compartire alle municipali loro instituzioni. Cicerone1 ne raccomanda lo studio, come piacevole ugualmente ed instruttivo. „Esse dilettano l’animo colla rimembranza di antichi vocaboli, e col ritratto di antichi costumi; esse inculcano i più sodi principj di Governo e di morale; ed io non temo di affermare che la breve composizione dei Decemviri supera il valore effettivo di tutti i libri della filosofia Greca. Quanto ammirabile„, soggiunge Tullio, con onesto od affettato pregiudizio, „è mai la sapienza dei nostri antenati! Noi soli siamo i maestri della prudenza civile, e la nostra preminenza sempre più risplende se volgiamo lo sguardo alla rozza e quasi ridicola giurisprudenza di Dracone, di Solone, e di Licurgo.„ Le Dodici Tavole furono commesse alla memoria dei giovani ed alla meditazione dei vecchi, esse furono trascritte ed illustrate con dotta accuratezza; esse scamparono alle fiamme accese dai Galli; esse sussistevano al tempo di Giustiniano, e la successiva lor perdita venne imperfettamente restaurata dalle fatiche dei critici moderni2. Ma benchè questi venerabili monumenti fossero considerati come la norma del diritto e la fonte della Giustizia3, furono però soverchiati dal peso e dalla varietà delle nuove leggi, che, in capo a cinque secoli, divennero un male più intollerabile che i

  1. Si ascolti Cicerone (De legibus, 11, 23) e quello che egli fa parlare, Crasso (De oratore, 1, 43, 44).
  2. Vedi Eineccio (Hist. J. R. n. 29-33). Mi son servito delle Dodici Tavole quali furono restaurate da Gravina (Origines J. C. p. 280-307) e da Terrasson, Storia della Giurisprudenza romana, p. 94-205.
  3. Finis aequi juris (Tacito, Annal. III, 27). Fons omnis publici et privati juris (Tito Livio, III, 34).