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dell'impero romano cap. xliii. 159

prudenza avrebbe condannati alla solitudine, ed alla disperazione. Ma tal funesta sicurezza, non altramente, che la predestinazione dei Turchi dovette aumentare i progressi della contagione; e le salutari cautele a cui l’Europa va debitrice della sua salvezza, erano sconosciute al governo di Giustiniano. Non s’impose alcun freno alle frequenti e libere relazioni delle province Romane: dalla Persia fino alla Francia le nazioni erano mescolate ed infettate dalle migrazioni e dalle guerre; ed il pestifero odore che si ricetta per anni interi in una balla di cotone, veniva trasportato per l’abuso del traffico, sino alle più distanti contrade. Il modo con cui propagossi la peste viene spiegato per l’osservazione fatta da Procopio medesimo, che sempre essa spargevasi dal lido del mare nell’interno de’ paesi, che le isole e le montagne più segregate dalle altre, successivamente venivano visitate dal morbo, e che i luoghi, sfuggiti al furore del suo primo passaggio, erano esposti al contagio dell’anno seguente. I venti poterono diffondere quel veleno sottile; ma a meno che l’atmosfera sia preventivamente disposta a riceverlo, l’infezione deve ben presto venir meno in tutti i climi freddi o temperati del Globo. Tale si era l’universale corruzione dell’aria, che la pestilenza scoppiata nell’anno decimo quinto di Giustiniano, non fu repressa nè mitigata da veruna differenza delle stagioni. Coll’andar del tempo, la prima sua malignità si diminuì e disperse, il morbo alternativamente languì e rinacque, ma non fu che in capo ad un calamitoso periodo di cinquantadue anni, che l’uman genere ricuperò la sanità di prima, e che l’aria riprese le sue qualità pure e salubri. Non ci rimangono fatti su cui stabilire un computo, od almeno una con-